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TitreLe vite de’ pittori, scultori et architetti moderni
AuteursBellori, Giovanni Pietro
Date de rédaction
Date de publication originale1672
Titre traduit
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Date de traduction
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Editeur moderne
Date de reprintRome, Mascardi

, "Vita di Domenico Zampieri", p. 319

Concorse ciascuno a vederle come un duello di due eccellentissimi artefici, nel quale combattevano non Apelle e Protogene di una linea, ma Guido e Domenico di tutta la pittura. 

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, "L’Idea del Pittore, dello scultore e dell'architetto", 1664, p. 18

[[4:suit Zeuxis Hélène]] : Ovidio […] altamente di Venere cantò, che se Apelle non l’avesse dipinta, sinora sommersa rimarrebbe nel mare ove nacque : Si Venerem Cois nunquam pinxisset Apelles/ Mersa sub aequoreis illa lateret aquis.

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, p. 15-16

[[8:voir aussi Polygnote et Pauson]] Anzi la natura, per questa cagione, è tanto inferiore all’arte che gli artefici similitudinarii e del tutto imitatori de’ corpi, senza elezzione e scelta dell’idea, ne furono ripresi: Demetrio ricevé nota di esser troppo naturale, Dionisio fu biasimato per aver dipinto gli uomini simili a noi, communemente chiamato ἀνθρωπόγραφος cioè pittore di uomini. Pausone e Pirreico furono condannati maggiormente, per avere imitato li peggiori e li più vili, come in questi nostri tempi Michel Angelo da Caravaggio fu troppo naturale, dipinse i simili, e’ l Bamboccio li peggiori. Rimproverava però Lisippo al vulgo de gli scultori, che da essi venivano fatti gli uomini quali si trovano in natura, ed egli gloriavasi di formarli quali dovevano essere, unico precetto dato da Aristotele così ai poeti, come alli pittori.

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, Vita di Domenico Zampieri, p. 359

Dipingendo in Santo Andrea della Valle, sollecitato da’ Padri a fornir la tribuna, ed essendo trascorso un mese con non vi era andato, rispose che ogni giorno vi aveva dipinto ; e soggiungendo li padri in che modo, per non essere mai venuto a darvi una pennellata, replicò Domenico: « Io vi ho operato del continuo con la mente, con la quale dipingo ». Occultava egli questi suoi studii, né da alcuno si lasciava vedere nell’operare, e se pure alle volte v’introduceva qualche amico differiva per allora le cose importanti e si tratteneva in altre di minore momento. Non poteva capire come certi conducono l’opere gravissime ciarlando in conversazione: il ché è contrasegno di pratica, e non di applicazione d’intelletto; ed aggiungeva che nelle azzioni della pittura bisogna non solo contemplare e riconoscere gli affetti, ma sentirli ancora in se stesso, fare e patire le medesime cose che si rappresentano; onde alle volte udivasi ragionare da sé solo e mandar voci di duolo e d’allegrezza, secondo l’affezzioni espresse. Per la qual cagione era consueto ritirarsi per non essere udito né veduto, ed avvertiva di non manifestarsi né meno a’ discepoli o a’ suoi di casa, per avere altre volte dato sospetto di pazzia, ed essendogli incontrati accidenti per li quali di vergognarsi gli era avvenuto. Et è memorabile quello gli incontrò col maestro nella sua giovanezza, quando, essendo andato Annibale a trovarlo a San Gregorio in tempo che dipingeva il Martirio di Santo Andrea, e trovando aperto, lo vidde all’improviso adirato e minacciante con parole di sdegno; Annibale si ritirò indietro ed aspettò fintanto si accorse che Domenico intendeva a quel soldato che minaccia il Santo col dito; non potè ritenersi allora e si avvicinò ad abbraciarlo, dicendogli: « Domenico, oggi da te imparo ».

Dans :Polos, si vis me flere(Lien)

, "L’Idea del pittore, dello scultore e dell’architetto", p. 15-16

Anzi la natura, per questa cagione, è tanto inferiore all’arte che gli artefici similitudinarii e del tutto imitatori de’ corpi, senza elezzione e scelta dell’idea, ne furono ripresi: Demetrio ricevé nota di esser troppo naturale, Dionisio fu biasimato per aver dipinto gli uomini simili a noi, communemente chiamato ἀνθρωπόγραφος cioè pittore di uomini. Pausone e Pirreico furono condannati maggiormente, per avere imitato li peggiori e li più vili, come in questi nostri tempi Michel Angelo da Caravaggio fu troppo naturale, dipinse i simili, e’ l Bamboccio li peggiori. Rimproverava però Lisippo al vulgo de gli scultori, che da essi venivano fatti gli uomini quali si trovano in natura, ed egli gloriavasi di formarli quali dovevano essere, unico precetto dato da Aristotele così ai poeti, come alli pittori.

Dans :Polygnote, Dionysos et Pauson : portraits pires, semblables, meilleurs(Lien)

, "Vita di Annibale Carracci", p. 85-86

Ma fra gli studii delle arti più gravi mischiava le burle e le piacevolezze, alle quali sentivasi inclinato; né solo egli era destro nello spiegare arguzie e motti con parole, ma ancora con le facezie de’ disegni, formandone molti con la penna. Quindi ebbero origine li dilettevoli ritratti burleschi overo caricati; così chiamavano alcuni volti e figure alterate in disegno, secondo li naturali diffetti di ciascuno, con ridicolosa rassomiglianza, tantoché muovono a riso. Tale imitazione si riduce sotto quella de’ peggiori solita usarsi da’ poeti. Disegnò il ritratto di un gobbo poeta laureato con le spalle a guisa di monte Parnaso, e con Apolline gobbo e le Muse: così il Marino nella sua Galeria finse il medesimo ritratto, dicendo: Porto il monte Parnaso in sù le spalle. Et accioché sia noto l’ingegno di Annibale in accommodare versi burleschi a’ suoi disegni, sotto il ritratto di un brutto e nasuto cortigiano che faceva il bello, scrisse questi versi:

Temea Natura di non farlo a caso

Slargò la bocca, ed allungò gli orecchi

Ma si scordò di rassettargli il naso

Dans :Polygnote, Dionysos et Pauson : portraits pires, semblables, meilleurs(Lien)

, "L’idea del pittore, dello scultore e dell’architetto", p. 19-21

Dal che apparisce non essere giustamente ripreso Aristotele nella Tragedia dal Castelvetro, volendo questi che la virtù della pittura non consista altrimente in far l’immagine bella e perfetta, ma simile al naturale, o bello, o deforme ; quasi l’eccesso della bellezza tolga la similitudine. La qual ragione del Castelvetro si ristringe alli pittori icastici e facitori de’ ritratti, li quai non serbano idea alcuna e sono soggetti alla bruttezza del volto e del corpo, non potendo essi aggiungere bellezza, né correggere le deformità naturali, altrimente il ritratto sarebbe più bello e meno simile. Di questa imitazione icastica non intende il filosofo, ma insegna al tragico li costumi de’ migliori, con l’esempio de’ buoni pittori e facitori d’immagini perfette, li quali usano l’idea: e sono queste le parole: « Essendo la tragedia imitazione de’ migliori, bisogna che noi imitiamo li buoni pittori; perché quelli esprimendo la propria forma con farli simili, più belli li fingono. Αποδιδόντες τὴν οἰκείαν μορφὴν ὁμοίους ποιοῦντες καλλίους γραφοῦσιν ». Il far però gli uomini più belli di quello che sono communemente ed eleggere il perfetto conviene all’idea. Ma non una di questa bellezza è l’idea; varie sono le sue forme e forti e magnanime e gioconde e delicate di ogni età e d’ogni sesso. Non però noi con Paride nel monte Ida delizioso lodiamo solo Venere molle, o ne’ giardini di Nisa celebriamo il tenero Bacco; ma su ne’ gioghi faticosi di Menalo e di Delo ammiriamo Apolline faretrato e l’arciera Diana. Altra certamente fu la bellezza di Giove in Olimpia e di Giunone in Samo, altra di Ercole in Lindo e di Cupidine in Tespia; così a diversi convengonsi diverse forme, per non essere altro la bellezza, se non quella che fa le cose come sono nella loro propria e perfetta natura; la quale li ottimi pittori si eleggono contemplando la forma di ciascuno. Dobbiamo di più considerare che essendo la pittura rappresentazione d’umana azzione, deve insieme il pittore ritenere nella mente gli essempi de gli affetti, che cadono sotto queste azzioni, nel modo che ’l poeta conserva l’idea dell’iracondo, del timido, del mesto, del lieto, e così del riso e del pianto, del timore e dell’ardire. […]

Laonde quelli che senza conoscere la verità il tutto muovono con la pratica, fingono larve in vece di figure; né dissimili gli altri sono, che pigliano in prestanza l’ingegno e copiano l’idee altrui, fanno l’opere non figliuole, ma bastarde della natura, e pare abbiano giurato nelle pennellate de’ loro maestri. Al male si aggiunge che, per l’inopia dell’ingegno, non sapendo essi eleggere le parti migliori, scelgano i diffetti de’ loro precettori e si formano l’idea del peggiore. Al contrario quelli, che si gloriano del nome di naturalisti,  non si propongono nella mente idea alcuna; copiano i difetti de’ corpi, e si assuefanno alla bruttezza ed a gli errori, giurando anch’essi nel modello come loro precettore; il quale tolto dagli occhi loro, si parte insieme da essi tutta l’arte.

Dans :Le portrait ressemblant et plus beau(Lien)

, "Vita di Michelangelo da Caravaggio", p. 211-212

Dicesi che Demetrio antico statuario fu tanto studioso della rassomiglianza che diletossi più dell’imitazione che della bellezza delle cose ; lo stesso abbiamo veduto in Michelangelo Merigi, il quale non riconobbe altro maestro che il modello, e senza elezione delle migliori forme naturali, quello che a dire è stupendo, pare che senz’arte emulasse l’arte.

Per le quali lodi il Caravaggio non apprezzava altri che se stesso, chiamandosi egli fido, unico imitatore della natura ; contuttociò molte e le migliori parti gli mancavano, perché non erano in lui né invenzione né decoro né disegno né scienza alcuna della pittura mentre tolto dagli occhi suoi il modello restavano vacui la mano e l’ingegno. Molti nondimeno, invaghiti della sua maniera, l’abbraciavano volontieri, poiché senz’altro studio e fatica si facilitavano la via al copiare il naturale, seguitando li corpi volgari e senza bellezza. Così sottoposta dal Caravaggio la maesta dell’arte, ciascuno si prese licenza, e ne seguì il dispregio delle cose belle, tolta ogni autorità all’antico ed a Rafaelle, dove per la commodità de’ modelli e di condurre una testa dal naturale, lasciando costoro l’uso dell’istorie che sono proprie de’ pittori, si diedero alle mezze figure, che avanti erano poco in uso. Allora comminciò l’imitazione delle cose vili, ricercandosi le sozzure e la deformità, come sogliono fare alcuni ansiosamente : sa, se un vaso, non lo fanno intiero, ma sboccato e rotto. Sono gli abiti loro calze, brache e berettoni, e così nell’imitare li corpi si fermano con tutto lo studio sopra le rughe e i diffetti della pelle e dintorni, diformano le dita nodose, le membra alterate da morbi.

Dans :Le portrait ressemblant et plus beau(Lien)

, « Vita di Domenico Zampieri », p. 323

Parrà bene incredibile ad udirsi come sì preziosa pittura[[5:la La Communion de saint Jérôme.]] non incontrasse altra fortuna che il solo premio di cinquanta scudi, dov’egli si trattene lungamente con diligenza e studio infinito, imitando il digiuno di Protogene che si alimentava di lupini; né ciò paia strano, perché egli si pose in animo di patire e di sofferire ogni cosa per l’acquisto della virtù e della sapienza dell’arte.

Dans :Protogène, L’Ialysos (la bave du chien faite par hasard)(Lien)

, “Vita di Annibale Carracci”, p. 35

Quivi[[5:a Parma.]] egli conobbe Paolo Veronese ancor vivo, Tintoretto e ’l Bassano, in casa del quale egli restò ingannato piacevolmente, distendendo la mano per pigliare un libro, che era dipinto.

Dans :Zeuxis et Parrhasios : les raisins et le rideau(Lien)

, p. 15-18

[[6:après avoir cité Cicéron, L’Orateur, II, 7]]. Ma Zeusi, che con la scelta di cinque vergini formò l’immagine di Elena tanto famosa da Cicerone posta in esempio all’oratore, insegna insieme al pittore ed allo scultore a contemplare l’idea delle migliori forme naturali, con farne scelta da vari corpi, eleggendo le più eleganti. Imperoché non pensò egli di poter trovare in un corpo solo tutte quelle perfezzioni che cercava per la venustà di Elena, mentre la natura non fa perfetta cosa alcuna particolare in tutte le parti: « Neque enim putavit omnia quae quaereret ad venustatem uno in corpore se reperire posse, ideo quod nihil simplici in genere omnibus ex partibus natura expolivit ». Vuole però Massimo Tirio che l’immagine de’ pittori così presa da corpi diversi partorisca una bellezza, quale non si trova in corpo naturale alcuno, che alle belle statue si avvicini. Lo stesso concedeva Parrasio a Socrate, che’l pittore propostosi in ciascuna forma la bellezza naturale, debba prendere da diversi corpi unitamente tuttociò che ciascuno a parte a parte ottiene di più perfetto, essendo malagevole il trovarsene un solo in perfezzione. Anzi la natura, per questa cagione, è tanto inferiore all’arte, che gli artefici similitudinarii e del tutto imitatori de’ corpi, senza elezzione e scelta dell’idea, ne furono ripresi [[8:voir aussi Polygnote et Pauson ; Pireicus]]

Dans :Zeuxis, Hélène et les cinq vierges de Crotone(Lien)

, p. 17-18

Vantavasi però Guido dipingere la bellezza non quale gli si offeriva agli occhi, ma simile a quella che vedeva nell’idea, onde la sua bella Elena rapita al pari dell’antica di Zeusi fu celebrata. Ma non fu cosí bella costei qual da loro si finse, poiché si trovarono in essa difetti e riprensioni  anzi si tiene ch’ella mai navigasse a Troia, ma che in suo luogo vi fosse portata la sua statua, per la cui bellezza si guerreggiò dieci anni. Stimasi però che Omero ne’ suoi poemi adorasse una donna che non era divina, per gratificare i Greci e per rendere più celebre il soggetto suo della guerra troiana; nel modo ch’egli inalzò Achille ed Ulisse nella fortezza e nel consiglio. Laonde Elena con la sua bellezza naturale non pareggiò le forme di Zeusi e d’Omero; né donna alcuna fu, che ritenesse tanta venustà quanta la Venere Cnidia, o la Minerva Ateniese chiamata la bella Forma, né uomo in fortezza oggi si trova che pareggi l’Ercole Farnesiano di Glicone, o donna che agguagli in venustà la Venere Medicea di Cleomene. Per questa cagione gli ottimi poeti ed oratori volendo celebrare qualche soprumana bellezza, ricorrono al paragone delle statue e delle pitture. Ovidio […] altamente di Venere cantò, che se Apelle non l’avesse dipinta, sinora sommersa rimarebbe nel mare ove nacque:

Si Venerem Cois nunquam pinxisset Apelles

Mersa sub aequoreis illa lateret aquis.

Dans :Zeuxis, Hélène et les cinq vierges de Crotone(Lien)

, p. 478

Come l’impossibilità è perfezzione della pittura e della poesia. Aristotele vuol mostrare coll’esempio di Zeusi che è lecito al poeta il dire cose impossibili pur che sieno megliori, com’è impossibile per natura che una donna abbia in sé tutte le bellezze raccolte, quali ebbe la figura di Elena, che era bellissima, e per conseguenza migliore del possibile.

Dans :Zeuxis, Hélène et les cinq vierges de Crotone(Lien)